16
Ott

Gender and climate change: che cosa c’entrano le donne?

di Chiara Soletti

A prima vista si direbbe una forzatura, ma la questione acquisisce subito margini più precisi se si trasferisce il discorso nei paesi in via di sviluppo dove le donne non solo rappresentano il 43% della forza lavoro agricola (dati che oscillano tra il 50% e il 70% nei paesi dell’Africa Sub­Sahariana), ma sono ancora coloro che per ragioni socio­culturali si occupano della preparazione del cibo quotidiano.

Dal reperimento dei generi alimentari alla loro trasformazione le donne fanno affidamento sulle risorse naturali a loro disposizione e tutto questo ha evidenti implicazioni ambientali, dalla deforestazione all’inquinamento atmosferico, nel momento che queste azioni vengono moltiplicate per i milioni, anzi i miliardi di individui che seguono questa routine.

Questo è tuttavia solo il primo passo di un’analisi concernente le molteplici attività che nei paesi più arretrati sono di esclusiva incombenza femminile. Le responsabilità della donna spaziano dalla produzione del cibo all’educazione dei figli: sono le donne a occuparsi prevalentemente dell’agricoltura e dell’allevamento di sussistenza, coltivando piccoli appezzamenti di terreno vicini ai villaggi; sono sempre loro a fruire delle risorse idriche di prossimità e a gestire la cascata di utilizzi dell’acqua in ambito domestico, dall’alimentazione all’igiene; sono le madri a occuparsi dei figli, ovviamente, ma ben al di là del semplice concetto di sopravvivenza. In quanto educatrici, le madri sono il fulcro del cambiamento, nel momento in cui trasmettono elementi di progresso: introdurre una donna al concetto di un migliore approccio alle risorse naturali significa mettere in atto una virtuosa catena di trasmissione della conoscenza.

Le donne sono quindi un fattore di stabilità sociale importantissimo, in quanto gestiscono il quotidiano nella maggior parte dei suoi aspetti, nonostante gli ostacoli socio culturali che devono affrontare. In molte società la legge o la tradizione non permette alle donne di possedere o ereditare della terra e quando possono averci accesso vengono loro riservati solo appezzamenti di terreno di dimensione ridotta e scarsa qualità. Spesso non posso accedere all’educazione o la loro partecipazione scolastica viene scoraggiata in quanto ritenuta secondaria al ruolo sociale di mogli e madri che la società loro riserva.

Pur rappresentando quasi la metà della forza lavoro dei processi produttivi alimentari, il loro ruolo non è riconosciuto e il loro accesso a credito e mezzi tecnologici viene limitato se non reso impossibile. Valorizzando le capacità produttive delle donne verso un’agricoltura sostenibile, non solo si lavora per il futuro ambientale del pianeta, ma si va verso la piena fruizione dei loro diritti individuali combattendo povertà e malnutrizione. Inoltre, quando coinvolte nei processi decisionali sulle questioni climatiche le donne hanno dimostrato di poter fare la differenza. Grazie alla loro conoscenza ed esperienza nella gestione delle risorse naturali sono in grado di strutturare una valida risposta ai disastri ambientali sia nella messa in sicurezza della popolazione che nella ricostruzione post disastro e nel reperimento di nuove risorse di immediata necessità.

Il riconoscimento di queste dinamiche ha portato le Nazioni Unite ad aprire una specifica riflessione su Gender e Climate Change all’interno dell’UNFCCC (United Nations Framework Convention on Climate Change), ovvero sul ruolo che le donne possono avere tanto nell’adattamento ai cambiamenti climatici in atto, quanto nella mitigazione di questi fenomeni nel medio­lungo periodo. Con la creazione nel luglio 2011 di UN Women, entità ONU per l’equità di genere, le Nazioni Unite promuovono e sostengono l’incorporazione della prospettiva di genere in politiche e piani di azione nazionali riguardanti sviluppo sostenibile e cambiamento climatico.

Ciò che emerge dal dibattito internazionale è una svariata serie di azioni, dal coinvolgimento delle donne nei processi decisionali che possono influire sul clima a livello locale e globale, alla promozione finanziaria e tecnologica di iniziative imprenditoriali femminili, dall’agricoltura all’artigianato, che possano incentivare la stabilità sociale, a partire dal sua componente di base, la famiglia, e di conseguenza la qualità ambientale. È così che il discorso s’inserisce nel più ampio argomento del Women’s empowerment – locuzione adottata tal quale nel lessico internazionale – facendogli compiere un salto di qualità, dalla sfera dei diritti umani a quella ancor più ampia della tutela ambientale planetaria.

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